Le passerelle virtuali possono restituire l’emozione, il genio creativo e il senso compiuto della bellezza di una Collezione?
La prima passerella virtuale risale al 1998, quando Helmut Lang organizzò uno show a porte chiuse, che non ebbe edizioni successive. Tornò infatti subito sui suoi passi, ripristinando la magia del catwalk fisico, che deriva dai sensi, oltre che dalla vista. In tempi recenti – a causa dell’emergenza sanitaria che impone il distanziamento sociale – gli show virtuali si sono rivelati una possibile alternativa. Come hanno dimostrato gli show di Valentino, di Etro, di Dolce&Gabbana, solo per citare alcuni protagonisti della fashion week dello scorso settembre. Messe in scena immaginifiche dalle quali è emerso un messaggio importante: ricercare, ritrovare e riproporre la realtà, per quanto mediata. Obiettivo: suscitare emozioni, attraverso e nonostante lo schermo. Una commistione che sotto al nome di phygital, ha dato l’opportunità di coinvolgere direttamente ed emotivamente tutti i player del settore, seppur distanti, dai buyer ai clienti finali. Partner fondamentale di questa dimensione sono stati sicuramente i social network, capaci di entrare in empatia e intimità con le persone, anche se da remoto. Altro fondamentale tassello, la creatività. Molti stilisti hanno fatto ricorso al genio creativo per creare storie emozionali immerse in uno scenario poetico e irripetibile, analogo a quello che si potrebbe realizzare con l’uso della fantasia – un nome per tutti, Dior e Matteo Garrone. Esempi felici, che rappresentano però un’eccezione fra tante altre occasioni meno di impatto.
Sono tanti infatti i segnali che lasciano intravedere quello che già è successo in passato: il passo indietro. Ovvero il ritorno alla dimensione fisica, sensoriale, ed emozionale che può nascere solo dal contatto. Perché un abito da sposa è un sogno, e la sfilata è ad oggi l’unico strumento capace di riportarlo alla realtà. Nessun canale digitale può infatti restituire il senso compiuto della bellezza di una collezione. Servono mani per toccare e occhi per innamorarsi, della qualità dei tessuti, della cura nelle finiture, della storia che ogni abito esprime attraverso una scenografia che non può risolversi dentro a un pixel ma deve investire lo spettatore attraverso tutti e cinque i sensi. Questo è il ruolo – insostituibile – della sfilata.
Un rappresentazione teatrale che mette in scena la bellezza, valorizzandone tutte le dimensioni sensoriali. Al centro della narrazione gli abiti, sogni divenuti realtà per mano artigiana, e che come tali possono essere rappresentati soltanto attraverso la riproduzione del sogno. Una riproduzione non facile, certamente impossibile se costretta entro i limiti di un monitor. E che trova invece propria nella sfilata la sua massima espressione.